Lo stanzino del Carpioni
Originariamente lo stanzino del Carpioni, ovvero la Saletta del “Pastor fido”, i cui affreschi inauguriamo nell’avvenuto restauro a cura della Sovrintendenza, non era un vano ma un sottoscala.
Qui un pittore cinquecentesco, molto probabilmente Giovanni Battista Zelotti, che già aveva lavorato in Villa Caldogno nei cicli adiacenti di Scipione e di Sofonisba, anch’essi restaurati e questa volta con il contributo di ArcLinea, dipingeva due episodi tratti dal dramma pastorale “Aminta” di Torquato Tasso.
Avvenne poi che Angelo Caldogno nel 1646 volle disfare la scala, decidendo di ricavare dal vano un piccolo camerino: quello che venne affidato ad un piccolo camerino: quello che venne affidato ad un giovane Giulio Carpioni per essere dipinto e decorato con episodi tratti dal poema pastorale “Il Pastor fido” di Giambattista Guarini.
Ecco che la tematica arcadica e bucolica, tanto in voga a fine Cinquecento e ancor apprezzata nel corso del Seicento, trovava in questo nuovo stanzino l’ambiente ideale per lo svolgersi di rarefatte scene di pastori, sullo sfondo di amori impossibili, che alla fine vengono incoronati per l’intervento degli dei o del fato.
Carpioni inaugurava quindi a Caldogno nella villa di campagna della ricca e aristocratica famiglia vicentina la sua carriera di frescante, che l’avrebbe poi portato a lasciare affreschi e fregi soprattutto nei palazzi cittadini più importanti e blasonati.
Da Caldogno dunque parte il nostro viaggio sull’attività di Giulio Carpioni, pittore eccentrico e originalissimo, malinconico nell’umore, ma spiritoso nelle battute e molto piccante.
Carpioni maestro d’incisione
La sua attività di incisore non fu copiosissima, ma alquanto significativa. La produzione varia da un corpus di 26 incisioni a uno più limitato, ristretto a 20. Considerazioni stilistiche e soprattutto cronologiche in merito ad alcuni lavori, che Carpioni avrebbe copiato in controparte dal Pesarese Simone Cantarini, ci fanno oggi escludere che il maestro veneto si cimentasse nella tecnica di copiatura pedissequa in età avanzata.
Anche l’influenza dell’incisore Pietro Testa, tesi sempre riportata dalla critica, potrebbe essere ridimensionato. Il Testa si affermò tardi rispetto al periodo di formazione del Carpioni e le sue incisioni cominciarono a diffondersi quando già il nostro pittore era pienamente formato nel mestiere e già famoso per le sue bizzarre invenzioni in terra veneta.
I personaggi delle sue incisioni appartengono alle storie bibliche o del Nuovo Testamento, sono i Santi della tradizione cristiana o i putti dei baccanali. Non mancano incursioni ideali nel mito per le 6 lastre dei “Tritoni o Dei del mare”, che il nostro avrebbe copiato dal Bolognese Odoardo Fialetti in controparte, cambiando espressioni e tratti caratteristici dei personaggi e rendendoli “carpioneschi” sotto tutti gli aspetti. Ogni incisione reca il nome dello stampatore del Carpioni, ovvero il Padovano Matteo Cadorin detto il Bolzetta, che aveva la sua officina al Bo’ a Padova. Ma poteva capitare che il Carpioni prima di consegnare le lastre al Bolzetta per essere incise operasse per proprio conto delle prove di stampa, ovvero dei primi stati, alcuni dei quali saranno proposti in mostra come inediti: delle autentiche e rarissime curiosità.