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Chiesa di S. Maria in Araceli
Vicenza - Piazza Araceli, 21; Tel. 0444-514438; Fax 0444-319749
Sab. 15.00-18.00
Possibilità di visite guidate negli orari di apertura

UN PO' DI STORIA Si ha notizia che, sul luogo di questa chiesa, nel 1214 esisteva una chiesetta dedicata a Santa Maria. Nel 1244 le Eremitane di S. Damiano, provenienti da S. Maria Mater Domini di Longare, sopra il terreno adiacente la chiesetta primitiva, acquistato da un certo Guglielmo Bravo, fanno innalzare un modesto monastero. Il 18 Aprile del 1277 le Eremitane cedono il convento alle Monache Clarisse di S. Francesco dette Celestine. Le Clarisse fecero ingrandire il monastero che si chiamava “Santa Maria ad Cellam”. Nel 1584, il cardinale Agostino Velier, visitando questa chiesa, la descrive “elegantissima, con ottime pitture e con tre altari”.
Nel 1587, in seguito allo smantellamento delle vicine mura, le monache comprano uno dei "torresini" per utilizzarli come materiale da costruzione per la nuova chiesa che si rende necessaria per l'aumentato numero delle monache e per la precarietà della primitiva costruzione.
Nel 1675, durante l'episcopato di Giuseppe Civran, questa seconda chiesa di S.Maria de Cella viene demolita per far posto all'attuale fabbrica Guariniana che fu portata a termine nel 1680.
L'attuale chiesa era attribuita a Carlo Borella, mentre è opera dell'architetto Guarino Guarini (nato a Modena nel 1624, morto a Milano nel 1683 - ricordato soprattutto per il San Lorenzo e la Cappella della Sindone a Torino) e a conferma di questo, è stato ritrovato, nel 1965 da Paolo Portoghesi, nella Biblioteca Vaticana, il progetto per la Chiesa di S.Maria di Araceli in Vicenza, in tre disegni datati 1695 i quali ne riproducono pianta, prospetto e sezione, e sono firmati da Guarino Guarini. Nella realizzazione del progetto, sotto la direzione del Borella, questi disegni hanno subito delle varianti.
Guarino Guarini è un religioso dell'ordine dei PP. Teatini e viene a Vicenza una prima volta nel 1672 sostandovi dal 21 al 28 Dicembre, per condurvi due giovani torinesi che dovevano prendere gli ordini e fare il noviziato. Si può ipotizzare che in questa occasione, abbia potuto interessarsi al progetto della Chiesa di S.Maria di Araceli su richiesta delle rev.de Monache Clarisse di San Francesco dette Celestine.
Un secondo soggiorno dell'architetto, a Vicenza, avviene nel 1675 dal 15 ottobre al 17 novembre, invitato dai confratelli per la commissione di un progetto. E' probabile che durante questo soggiorno, il Guarini abbia assistito ai primi lavori della fabbrica dell'Araceli iniziata durante tale anno, subito dopo la demolizione dell'antica chiesetta di S.Maria de Cella, sempre di proprietà delle Monache Clarisse.
L'anno del compimento della fabbrica è sicuramente il 1680 per due motivi: l'iscrizione con la data di ultimazione della fabbrica e con il nome del capomastro, sul cornicione interno alla base della cupola, visibile da due coretti superiori, e l'assunzione in quell'anno di un sagrestano.
Il 17 Novembre 1743 (60 anni più tardi) avviene la consacrazione della Chiesa per mano del Vescovo di Vicenza Cardinale Antonio Marino Priuli. La targa che comprova questo avvenimento è situata nella parete di destra, entrando in chiesa, a lato del portale d'ingresso.
Dall'11 giugno 1797 al 22 febbraio 1799 la Chiesa ed il Monastero furono occupati dalle truppe francesi e le suore trovarono rifugio in un primo momento presso le monache di Santa Maria Nuova e poi a San Rocco.
Il ritorno delle suore al loro monastero durò ben poco: il 25.04.1810, con la soppressione degli ordini religiosi, a seguito dei decreti napoleonici, dovettero definitivamente andarsene poichè tutti i loro beni furono demaniati ed il convento ceduto al conte Capra che aveva la residenza in Borgo San Marco e il suo giardino confinava con il convento duecentesco di Araceli. Nel 1811 rase al suolo, quasi completamente, il convento per ampliare il proprio giardino; infatti, nel 1815 iniziò la sistemazione del parco nelle forme neoclassiche che tutt'ora sono visibili, e nel 1820 innalzò il tempietto ionico rotondo su disegno del conte Antonio Piovene. La mura che recinta il parco Querini, dal cancello di Viale Araceli fino all'angolo che immette in Piazza Araceli, è diverso dal tratto che va dal cancello fino a Pusterla: è molto vecchio e presenta due aperture accecate. Tenendo presente che il calpestio nel 1915 fu rialzato per evitare le continue inondazioni del fiume Bacchiglione, le aperture accecate (ora molto basse) dovevano essere vere e proprie porte o portoncini che immettevano nel chiostro delle monache e la mura sopradescritta, la recinzione del convento duecentesco. Nel 1813 la chiesa diventò Parrocchia dei Santi Vito e Lucia denominata Araceli; avvenimento descritto nella lapide di sinistra, entrando in Chiesa, di fianco al portale d'ingresso. Nel 1958, in ottobre nella festa di Cristo Re, la chiesa di Santa Maria in Araceli venne abbandonata e si iniziò l’attività liturgica nel salone di Palazzo Scrofa. 02.10.1966 venne posata la prima pietra per la costruzione della Chiesa di Cristo Re in Borgo Scrofa (architetto Gino Ferrari).
Nel 1967 nella festa di Cristo Re, venne fatta la solenne benedizione della Chiesa di Cristo Re.
Nel 1968, il 27 Ottobre, Festa di Cristo Re, venne fatta la solenne consacrazione della Chiesa.

LA FACCIATA è impostata a due ordini su tre piani gradualmente arretrati. Le colonne corinzie, le lesene e le cornici creano un forte effetto chiaroscurale specialmente al primo piano dove le colonne sono staccate dalla parete. Il grande portale, chiuso da preziosi battenti lignei del '700, è sormontato da un timpano, con statue, sopra cui spicca un'ampia finestra quadrata con timpano arcuato che sostituisce il rosone tradizionale.
Le ampie volute laterali generano un andamento curvilineo che si collega alla cimasa, riccamente elaborata, con bassorilievo che raffigura l'immagine della Madonna racchiusa in un anello raggiante; ai lati due figure di profeti: Davide e Mosè.
La cupola, traforata da otto finestroni ovali, è sormontata da una graziosa balaustra che completa l'ornamento; al centro si innalza il lanternino che è chiuso da piramide a bulbo.
Le statue che popolano la facciata sono in numero di 15 e tutte in atteggiamento di movimento e sono attribuite ad Orazio Marinali ed al suo genero Giuseppe Cassetti; di notevole pregio quelle sul frontone del portale. La bottega di Orazio Marinali, nella quale lavoravano anche i figli ed un genero, era molto famosa ed eseguiva lavori di raffinata bellezza come vedremo poi nelle statue dell'Altar Maggiore.
Fino al 1915 la facciata era preceduta da una scalinata d'ingresso, con sette gradini, che dava slancio a tutta la fabbrica. (fu innalzato l'antistante piazzale per evitare le continue piene del Bacchiglione).


IL CAMPANILE si imposta sul lato sinistro guardando la chiesa. Nella cella campanaria si aprono bifore settecentesche con balaustra a colonnine e inquadrate da pilastri ionici. La cella è coronata da quattro statue e da un corpo ottagonale sormontato da piramide a bulbo con rivestimento metallico. Sul lato sud del campanile, appena sotto la cella, si nota un orologio posto al di sopra della fila di feritoie che danno luce alla torre.

L'INTERNO della chiesa è molto luminoso. Nel progetto, il Guarini, ha saputo dosare sapientemente la luce che entra dal lanternino, dagli otto ovati della cupola, dalla grande finestra sopra il portale d'entrata e dalle finestre poste sopra gli altari laterali. Tutte queste aperture erano chiuse da lastre di alabastro che rendevano la luce più tenue e più soffusa. Dopo il precedente intervento di ristrutturazione furono tutte rifatte in vetro all'infuori del finestrone della facciata che presenta ancora l'alabastro originale.
La chiesa è a pianta rettangolare e misura mt. 26 per mt. 20; in essa vi è inscritta una doppia elisse formata da un perimetro esterno ed uno interno. I quattro fusti di colonne sono disposti lungo il perimetro elissoidale interno creando così quattro ambulacri, fra i due perimetri, dove trovano posto l'altar maggiore, gli altari laterali e l'atrio. Nello stesso tempo i quattro fusti di colonne sostengono poderosi archi sui quali si genera la cupola rotonda innervata da otto costoloni e sormontata da un lanternino.
Alla base della cupola si vedono quattro cartigli in corrispondenza dei fusti di colonne: si leggono a partire da quella di sinistra sopra l'altar maggiore.

HAEC ARA EST COELI / TERRESTRES / EXUE MORES / DESPICIASQUE SOLUM / SUSPICIASQUE / POLUM. Questo è l'altare del cielo. Spogliati dai costumi (abitudini) terrestri. Disdegna il suolo (la terra) guarda il polo (il cielo).

NUMEN UT EXORES / PURGATA MENTE / LITABIS / GRATIOR HAC COELO / VICTIMA NULLA CADIT. Offrirai sacrifici con mente purificata per placare (muovere a pietà) la Divinità. Nessuna vittima più gradita al Cielo di queste è immolata.

NE TIBI TERRIBILIS / QUANTUM SOLET / ESSE PROPHANIS / SIT LOCUS HIC / SUMA TU PIETATE / COLAS. Affinchè questo luogo non ti sia terribile (nel senso che incute timore) quanto suole essere ai profani, abbine cura (coltivalo) con somma pietà.

EXITUS ACTA PROBAT / BENE TE HIC EGISSE / PROBABIS / IMPATIENS CULPAE / OPTIMUS / EXIERIS. La morte (fine della vita) collauda le azioni. Dimostrerai di aver agito bene qui. Privo di colpa te ne sarai andato da persona retta.

Altre due iscrizioni sugli archi in corrispondenza degli altari laterali, riguardano la costruzione della chiesa:

SAECULA SUNT BIS QUINA / ET SEX TOTIDEMQUE REDEMPTI / LUSTRA ORBIS / QUANDO HOC NOBILE SURGIT OPUS. Sono dieci secoli e sei più altrettanti lustri, del mondo redento, quando questa nobile opera sorge.

ELATA MORTALIS HOMO / QUID MENTE SUPERBIS / HOC MORIETUR OPUS / TU MORIERE PRIUS. A che scopo o uomo mortale, con mente orgogliosa, ti insuperbisci? Questa opera morirà. Tu morirai prima.

In alto, sopra i fusti di colonne, sono visibili quattro vani uguali, con archi per aperture e riparati da un basso parapetto (sono i matronei), in cui l'architetto ha inteso ricavare dei coretti per le monache che potevano così assistere ai riti religiosi senza entrare in chiesa.
Sotto la cupola, alla base dei matronei, dal lato dell'altare di sinistra, si notano due iscrizioni: una con la data della costruzione della fabbrica: "cominciò l'anno 1675, finì l'anno 1680, sig. Carlo Borella architetto e Geronimo Cerone con li suoi figli fecit, Matteo Bindo Stucator. L'altra reca la data dell' “anno 1887 restaurò questo Tempio, Lappo Marco capomastro muratore”.
Sotto i matronei, ai lati dei gruppi di colonne, dentro a nicchie, sono le statue in pietra tenera di Vicenza, attribuite a Giacomo Cassetti, rappresentanti S.Pietro con le chiavi in mano e S. Paolo con il libro (rivolti verso l'altar maggiore). Al centro S. Francesco e S. Chiara, di fronte a S. Antonio e S. Bernardino; rivolti verso la porta d'entrata invece, vediamo S. Bonaventura e S. Lodovico. Le statue non sono state messe lì a caso ma sapientemente disposte:
S. Pietro e S. Paolo (Pilastri della Chiesa)
S. Francesco e S. Chiara (Fondatori e Patroni degli Ordini Francescani)
S. Antonio da Padova e S. Bernardino (sono Santi Francescani)
S. Ludovico di Tolosa, vescovo di Tolosa, è Luigi D’Angiò della famiglia reale di Francia (è Francescano)
S. Bonaventura, vescovo di Albano, II° fondatore dell’Ordine Francescano, guarito a 14 anni, da S. Francesco, per le preghiere della madre.

Il pavimento attuale, in marmo bianco e rosso, è il terzo (è stato rifatto per inserirvi l'impianto di riscaldamento). Il precedente (secondo) era ugualmente in quadroni bianchi e rossi, squadrati a mano, (ne è rimasta una piccola parte all'interno della balaustra dell'Altar Maggiore) era stato rifatto nel 1733 a seguito di una donazione fatta alle Monache che ebbero così la possibilità di erigere anche l'altare di destra (del Crocefisso). Sotto a questo secondo pavimento, durante i lavori di posa del riscaldamento, vennero alla luce tre tombe; vennero riportate in superficie, sistemandole nello stesso posto, sulla nuova pavimentazione. Erano tombe di nobili famiglie forse legate al monastero.
Il primo pavimento si pensa sia stato uguale a quello rimasto ai piedi dell'altar maggiore, tutto intarsiato con marmi policromi.

Iscrizioni sulle lastre tombali:

VIRO NOB. VINCENTIO DE MAINENTIB ET HAEREDIBUS SUIS PETRUS ANTONIUS FRA MOERENS POSUIT MDXCVIII

BERNARDINO CAMUZIO IURISCONSLTO EIUSQ FILIIS PETRO AC FRANC° ANNA CAMUTIA PATRI AC FRATRIBUS MOESTISS A P C

HIERONYMO COLZADIO IULII F. IACOBUS ET SALADINUS FRAT. LUGENTES. P. MDXC


Ai lati del portale d'ingresso vi sono due vani chiusi da porticine: a sinistra entrando, c'è il Battistero con la statua di S.Giovanni Battista, opera dello scultore Aldo Giaretta, e a destra una Pietà. Sempre ai lati del portale d'ingresso, a destra entrando, troviamo una lapide in marmo nero che ricorda la data della consacrazione della chiesa nel 1743

D.O.M. ILL: AC. REV: D.D. ANTONIUS MARINUS PRIOLUS EPISCOPUS VICENTINUS DVX. MARCHIO, ET COMES TEMPLUM HOC ET ALTARE MAIUS SOLEMNITER DEDICAVIT DOMINICA III NOVEMBRIS A. MDCCXLIII PATRI OPTIMO ABBATISSA ET MONIALES P. P.

e a sinistra una lapide identica che ricorda la traslazione della Parrocchia dei SS. Vito e Lucia nel 1813.

SACRA PAROECIAE EX AEDE SUBURBANA SANCTOR MART. VITI. ET LUCIAE IN HANC CULTIOREM ET AMPLIOREM RITE TRANSLATA SUNT A. MDCCCXIII


L'ALTARE MAGGIORE risale al 1696, come da iscrizione posta sotto il basamento dei due vasi fiammeggianti (orifiammi) ai lati della mensa: a sinistra "TOMAS BEZZI VENET" e a destra "Anno MDCXCVI"(1696). E' opera di Tommaso Bezzi (morto a Modena nel 1729 e dal 1700 al servizio del Duca di Modena).
Le statue sono di Orazio Marinali (Bassano 1643 - Vicenza 1720) le cui iniziali O.M., a lettere incrociate, sono impresse sull'orlo delle vesti dei due angeli che sorreggono la pala. Qui ammiriamo veramente l'opera di questo grande scultore: ammiriamo la leggerezza del drappo marmoreo, retto da due angeli adulti e due cherubini svolazzanti, inserito come campo alla cornice della pittura, sembra che non abbia peso. E le vesti degli angeli sembrano mosse da una leggera brezza.
Questo altare è un'imponente macchina barocca dalla policromia di marmi, lieve e raffinata (rosso amonitico veronese, giallo di Torri (o di Mori), Macchiavecchia policromo, Lumachella nero striato e bianco di Carrara liscio compatto)
Rappresenta, nel suo insieme monumentale, un prodigio di architettura, scultura e pittura. Il Bezzi usa il marmo come "forza" dei sentimenti dando vita a suggestioni profonde. Gli elementi architettonici, come le due colonne ed il timpano, sembrano sporgere dall'interno senza che se ne percepiscano i legamenti in modo tale che ogni senso di peso e di consistenza strutturale va perdendosi verso l'alto.
La grande pala rappresenta la Sibilla Tiburtina che indica all'imperatore Ottaviano Augusto la Vergine con il Bambino. La Sibilla profetizza di "una Vergine che concepirà un Figlio", tipica opera dell'estremo seicento veneto, è attribuito a Pietro Liberi. Il dipinto è montato su una cornice lignea ottocentesca molto raffinata.
La balaustra è semicircolare con colonnine di lumachella; è stata spostata all'esterno per dare più spazio al recinto dell'Altare: prova ne è il segno dell'impianto precedente che delimita due diverse forme di pavimento e nei gradini della balaustra si nota l'aggiunta di un pezzo ai lati estremi.
L'Altare poggia su tre gradini di rosso veronese con il paliotto, di pregevole fattura, con testa di cherubino sopra una conchiglia tra volute di marmo in giallo di Mori.
Il tabernacolo, con due angioletti ai lati, è impreziosito da pietre colorate (lapislazzuli, agata e malachite) disposte come gemme alla base del tabernacolo ed in alto sul dado della croce. Dietro al tabernacolo, la grande finestra polilobata, che dà sul Coro delle Monache, è coronata da ampie volute in marmo giallo e ornata da tre teste di cherubini.
I piedistalli delle colonne, ai lati dell'Altare, sono avvolti da ampi fogliami sormontati da maschere leonine; le colonne, di ordine composito, sono in macchiavecchia e sormontate da volute in marmo giallo. Sopra due angeli sorreggono il drappo in marmo bianco di Carrara che è sostenuto ai lati da due angioletti svolazzanti. Il drappo marmoreo fa da sfondo alla pala del Liberi che è sostenuta alla base da due angeli in piedi; pure un angioletto in alto al centro sostiene la grande pala per mezzo di un grosso anello.
L'architettura di questo altare culmina con due grandi volute di marmo giallo sopra cui poggiano due angioletti che sorreggono un cartiglio con su scritto "ARA COELI" e sopra la Colomba in una raggiera di luce dorata, simbolo dello Spirito Santo.
Gli stucchi, nel catino dell'abside sono di Matteo Bindo e mostrano angeli, cherubini, drappi, volute e fogliami. Ai lati del catino, si vedono due mascheroni su una raggiera di foglie d'acanto.

ALTARE LATERALE di destra fu eretto nel 1732, grazie ad una donazione. Quattro colonne in macchiavecchia policromo costituiscono la trama portante di questo altare che si impone per bellezze di forma ed eleganza di esecuzione.
Sopra il timpano statue di due virtù: una senza attributo e l'altra con una colomba in mano. Alla base del timpano, che sorregge le due statue, una corona in metallo dorato sormontata da un cartiglio con la scritta dorata su fondo blu "Altare Privilegiato" e sopra questo una croce.
In alto, al centro, un cartiglio in metallo scuro con la scritta:

VERE LANGUORES NOSTROS / IPSE TULIT / ET DOLORES NOSTROS / IPSE PORTAVIT / MDCCXXXII (1732).
Veramente Egli stesso (proprio Lui) patì le nostre debolezze e portò i nostri dolori. 1732.

Conteneva la pala dell'Immacolata di G.B. Tiepolo (1696-1770) che fu tolta nel 1830, per far posto al Crocefisso Miracoloso (ora nella Chiesa di Cristo Re in Borgo Scroffa).
L’ordine Francescano è devoto alla Santa Vergine Immacolata per cui le suore Clarisse avevano questa pala nella loro chiesa.
La pala fu acquistata dal conte Barbieri che alla sua morte la donò al Museo Civico di Vicenza dove fu trasferita nel 1857. In questo altare sono custodite le reliquie dei SS.Vito e Lucia (a sinistra) il capo di S.Valentino Martire (al centro) e altri Santi (a destra). Ecco una breve storia della reliquia del capo di S.Valentino, comprovata da documenti autentici: Torniamo al tempo in cui la chiesa d'Araceli era parte del convento delle monache Clarisse. In questo convento fu ospite per qualche tempo Lucrezia Barberini, nipote del Pontefice Urbano VIII, che era stata destinata in moglie al Duca Francesco di Modena. Essa aveva una zia Clarice Vaina Rasponi, nobile fiorentina, che aveva avuto in dono alcune Reliquie di Santi Martiri, fra le quali il Capo di S.Valentino, dall'illustrissimo Anania Marcello Vescovo di Sutri, allora Vicereggente del Cardinale Ginetti Vicario del Pontefice Innocenzo X. Monsignor Anania Marcello le aveva a sua volta avute dal Vescovo Verulano suo predecessore, che le aveva estratte dal cimitero Ciriaco nel campo Verano con mandato del Papa. Ora, avendo la Rasponi contratta relazione col monastero d'Araceli a cagione della sua nipote Lucrezia Barberini, nel 1656 mandò in dono a queste Monache varie Reliquie fra le quali, il Capo di S.Valentino conservato in una teca d'ebano; venne poi posto in una teca d'argento nel 1690.


L'ALTARE LATERALE di sinistra, identico a quello di destra, fu eretto nel 1728. Sopra il timpano statue di due virtù una con l'ancora sulla spalla e l'altra con un agnello in grembo (la Fede e la Mansuetudine). Alla base del timpano, che sorregge le due statue, una corona in metallo dorato con rose e foglie.
Al centro un cartiglio in metallo scuro con la scritta:

DEIPARE IMMACULATAE / DICATUM / MDCCCLXXXIV.
Dedicato all'Immacolata madre di Dio. 1884.


Conteneva una pala del Piazzetta (1682-1754) raffigurante "l'Estasi di S.Francesco". Nel 1884 questa pala venne trasferita al Museo Civico di Vicenza per lasciare il posto all'attuale statua lignea dell'Immacolata, opera del Gasparoni.

IL CORO DELLE MONACHE è una grande aula alla quale si accede attraverso le due porte, ai lati dell'Altare Maggiore, sormontate da due reliquiari risalenti all'antico convento delle monache.
Il Coro è un vano di grandi dimensioni e costituiva il fulcro della vita claustrale delle oltre cento monache che il cenobio ospitava normalmente. Qui si può osservare la fastosa finestra polilobata che dà, attraverso una grata, sul retro dell'Altare Maggiore.
Ai lati dell'aula, da una parte vediamo la porta del campanile, e di fronte c'era un'altra porta uguale, ora murata, che dava accesso al convento delle monache.
Sul fondo del Coro si trovava un tempo un piccolo altare barocco (databile 1730-1750) attribuibile al padovano Bonazza. Anche questo altare è stato trasferito nella nuova chiesa di Borgo Scroffa. L'altare è una tipica espressione del più aggraziato rococò veneto, con un ricco apparato scultoreo decorativo (festoni, nubi, angeli e cherubini) (i marmi sono: bianco di Carrara, breccia violacea e verde antico) che dà all'insieme un senso di equilibrata vitalità. L'altare non fu costruito appositamente per il coro delle monache ma apparteneva all'antica cappella degli Scroffa, edificata nel 1642, che sorgeva un tempo in viale Madonna di Reggio (vulgo Madona de Rezo), nei pressi dell'attuale viale Legione Gallieno. Esiste nel Coro delle Monache una targa in marmo scuro dove c'è l'iscrizione della donazione di questo altare, da parte del Conte Scroffa, alla parrocchia di Araceli, nel 1836.

Opere consultate:
-GUARINI A VICENZA - La Chiesa di S.Maria d'Araceli 1 e 2. (periodici)
-LA CHIESA DI S. MARIA IN ARACELI A VICENZA - Circoscrizione 4, Comune di Vicenza, Comitato Pro Restauri.
-IL CROCEFISSO MIRACOLOSO - D.Giovanni Perin.
-LE CHIESE - Arslan


Realizzazione: Mariuccia Panozzo in Gennari Via F. Baracca,68 – 36100 VICENZA e-mail [email protected]