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Picasso: Tra eros e mito

Nella chiesa SS Ambrogio e Bellino di Vicenza
Dal 15/03 al 22/04/2003 ore 15.30-17.30; lunedì chiuso;
ingresso libero




Si può raffigurare la bellezza dopo l'Olocausto, si può raffigurare oggi la sensuale purezza del corpo, o invece non è più possibile? Si chiedeva trentacinque anni fa René Char, nella prefazione a un carnet di disegni di Picasso della primavera di un fatidico 1968. Questa è la sua risposta: "Chiamate Dio? Nulla. Invocate gli dei: loro verranno. I libertini non si sono addormentati".

Eros e mito. Picasso ha avuto la forza, per tutto il corso del XX secolo, prima e dopo le Guerre, di raffigurare l'archetipa bellezza del corpo e dell'amore. Nelle sue acqueforti (15 ne vengono esposte in questa circostanza, a delineare due cruciali momenti della sua riflessione sul tema: la fine degli anni '20 e, appunto, il 1968) non si ritrovano i dati salienti dell'arte erotica del Novecento, il languido ed esasperato grafismo di un Klimt, gli slittamenti trasgressivi di Balthus, le stralunate visioni di Delvaux, gli alfabetici erotici di Dalì, il voyeurismo della fotografia. Picasso cerca piuttosto di restituirci da in canto i miti antichi, le porzioni dionisiache di un Mediterraneo primordiale, fatto di luce e di ombra, reso emblema nel Minotauro.

Dall'altro, ci presenta il destino del pittore, dell'artista: che ha il compito di inseguire la bellezza, di lasciarsi sedurre da essa, di saperla dominare nel segno, di trasmetterla a tutti. Fino al termine della sua vita, anche più che ottantenne, il maestro spagnolo non ha mai fatto differenza tra dipingere e fare l'amore: non è nemmeno, il suo, un desiderio di esorcismo. Come Bataille, anche Picasso sa che il significato ultimo dell'erotismo è la morte, la rivelazione del nostro limite, che solo il desiderio può oltrepassare.

Il desiderio è nello sguardo: tutto il tema dell'Eros, nell'arte di Picasso, è inscritto nelle dinamiche dello sguardo, con cui dominare la bellezza, per poi farla vedere. Anche, o soprattutto, con l'urgenza di un vecchio, che ha fatto di ogni donna che ha amato una modella. Non è questa, del resto, l'origine dell'arte? Il primo dipinto fu il ritratto del giovane amante della figlia di Butade Sicionio; la prima statua la futura moglie di Pigmalione, Galatea. E Alessandro il Grande donò ad Apelle, scrive Vasari, "la sua amata e bellissima Campsaspe".

Giuseppe Barbieri