Per partire col piede giusto, la prima cosa da dire a proposito dei tartufi e che trattasi di funghi ipogei, organismi cioè che svolgono tutto il proprio ciclo vitale sottoterra.
Botanicamente parlando fanno parte del genere "Tuber" ma non hanno nulla a che fare con patate e simili; sono invece parenti stretti di porcini e prataioli, pur avendo aspetto globoso e struttura interna assai diversa.
Come tutti i funghi, essendo sprovvisti di parti verdi i tartufi non sono in grado di ricavare attraverso la fotosintesi clorofilliana le sostanze necessarie al loro sviluppo; dunque devono assumere tali elementi dall'esterno e nella fattispecie dalle radici di alcune piante superiori instaurando un rapporto di simbiosi: il tartufo riceve dalla pianta degli zuccheri e la pianta riceve dal tartufo acqua e sali minerali che migliorano notevolmente il suo stato nutrizionale.
I tartufi hanno una parte vegetativa (micelio) costituita da sottili filamenti (ife), deputate all'assorbimento e ampiamente diramate a tessuto nel terreno. Queste a contatto con le parti terminali delle radici delle piante ospiti (querce, soprattutto), sviluppano particolari organi (micorrize) attraverso le quali si instaura lo scambio di sostanze vitali. Sono le micorrize che ogni anno al verificarsi di determinate condizioni climatiche, stimolano la formazione del corpo fruttifero (carpoforo), cioè del vero e proprio tartufo che si forma nel suolo a una profondità compresa tra la superficie e i 60 centimetri (eccezionalmente il metro) di profondità assumendo dimensioni variabili da quelle di un pisello a quello di una grossa arancia.
Questo frutto e caratterizzato da un rivestimento esterno (perizio), liscio o verrucoso, e da una polpa interna (gleba), che al taglio appare marmorizzata per la presenza di venature chiaroscure. Le venature scure costituiscono le aree fertili del carpoforo e contengono le spore, cui è demandata la funzione riproduttiva, mentre quelle più chiare sono sterili. Le spore sono racchiuse in numero limitato (1-8) in organi di forma globosa (aschi) che hanno una funzione analoga ai semi delle piante superiori.
Giunti a maturità, non potendo diffondere le spore come fanno i funghi di superficie, i tartufi diffondono il loro spiccato aroma. Gli animali che ne vengono attratti - insetti, lumache, roditori e cinghiali- se ne cibano disperdendo con le proprie deiezioni le spore nel terreno per l'avvio di un nuovo ciclo.
Tutto ciò in un complesso equilibrio biologico che spesso vede più specie di tartufi coabitare tra le radici della stessa pianta ospite. Delle tante specie esistenti, però, solo alcune hanno interesse alimentare.
La legge quadro n. 752 del 16 dicembre 1985 (ripresa dalla legge n. 30 del 28.6.1988 della Regione Veneto) ne riconosce, tra specie e varietà, nove:
Tuber magnatum detto tartufo bianco pregiato, o anche d'Alba, (periodo di raccolta 1 ottobre - 31 dicembre)
Tuber albidum detto bianchetto o marzuolo (15 gennaio - 30 aprile)
Tuber melanosporum detto tartufo nero pregiato, o di Norcia (15 novembre - 15 marzo)
Tuber brumale detto tartufo nero invernale (1 gennaio - 15 marzo)
Tuber brumale mschatum o tartufo moscato (15 novembre - 15 marzo)
Tuber aestivum detto tartufo nero estivo o scorzone (1 maggio - 30 novembre)
Tuber aestivum uncinatum detto tartufo uncinato (1 ottobre - 31 dicembre);
Tuber mesentericum detto tartufo nero ordinario (1 settembre - 31 gennaio)
Tuber macrosporum detto tartufo nero liscio (1 settembre - 31 dicembre).
La stessa legge stabilisce alcuni principi riguardo la raccolta, che è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, mentre e riservata al conduttore del fondo nel caso di tartufaie coltivate (impiantate ex novo) o controllate (naturali migliorate con la messa a dimora di piante micorrizate).
Altre indicazioni riguardano la ricerca dei tartufi, che deve essere effettuata con l'ausilio di un cane addestrato allo scopo (solitamente cani da fiuto a pelo ruvido, tra cui il Lagotto romagnolo, unica razza da tartufo riconosciuta dall'Ente Nazionale Cinofilia Italiana), e lo scavo, effettuato con apposito attrezzo (vanghetto), con limitazione al punto individuato dal cane. Al superamento di un esame di idoneita dipende infine il riascio di un tesserino valido su tutto il territono nazionale.
Botanicamente parlando fanno parte del genere "Tuber" ma non hanno nulla a che fare con patate e simili; sono invece parenti stretti di porcini e prataioli, pur avendo aspetto globoso e struttura interna assai diversa.
Come tutti i funghi, essendo sprovvisti di parti verdi i tartufi non sono in grado di ricavare attraverso la fotosintesi clorofilliana le sostanze necessarie al loro sviluppo; dunque devono assumere tali elementi dall'esterno e nella fattispecie dalle radici di alcune piante superiori instaurando un rapporto di simbiosi: il tartufo riceve dalla pianta degli zuccheri e la pianta riceve dal tartufo acqua e sali minerali che migliorano notevolmente il suo stato nutrizionale.
I tartufi hanno una parte vegetativa (micelio) costituita da sottili filamenti (ife), deputate all'assorbimento e ampiamente diramate a tessuto nel terreno. Queste a contatto con le parti terminali delle radici delle piante ospiti (querce, soprattutto), sviluppano particolari organi (micorrize) attraverso le quali si instaura lo scambio di sostanze vitali. Sono le micorrize che ogni anno al verificarsi di determinate condizioni climatiche, stimolano la formazione del corpo fruttifero (carpoforo), cioè del vero e proprio tartufo che si forma nel suolo a una profondità compresa tra la superficie e i 60 centimetri (eccezionalmente il metro) di profondità assumendo dimensioni variabili da quelle di un pisello a quello di una grossa arancia.
Questo frutto e caratterizzato da un rivestimento esterno (perizio), liscio o verrucoso, e da una polpa interna (gleba), che al taglio appare marmorizzata per la presenza di venature chiaroscure. Le venature scure costituiscono le aree fertili del carpoforo e contengono le spore, cui è demandata la funzione riproduttiva, mentre quelle più chiare sono sterili. Le spore sono racchiuse in numero limitato (1-8) in organi di forma globosa (aschi) che hanno una funzione analoga ai semi delle piante superiori.
Giunti a maturità, non potendo diffondere le spore come fanno i funghi di superficie, i tartufi diffondono il loro spiccato aroma. Gli animali che ne vengono attratti - insetti, lumache, roditori e cinghiali- se ne cibano disperdendo con le proprie deiezioni le spore nel terreno per l'avvio di un nuovo ciclo.
Tutto ciò in un complesso equilibrio biologico che spesso vede più specie di tartufi coabitare tra le radici della stessa pianta ospite. Delle tante specie esistenti, però, solo alcune hanno interesse alimentare.
La legge quadro n. 752 del 16 dicembre 1985 (ripresa dalla legge n. 30 del 28.6.1988 della Regione Veneto) ne riconosce, tra specie e varietà, nove:
Tuber magnatum detto tartufo bianco pregiato, o anche d'Alba, (periodo di raccolta 1 ottobre - 31 dicembre)
Tuber albidum detto bianchetto o marzuolo (15 gennaio - 30 aprile)
Tuber melanosporum detto tartufo nero pregiato, o di Norcia (15 novembre - 15 marzo)
Tuber brumale detto tartufo nero invernale (1 gennaio - 15 marzo)
Tuber brumale mschatum o tartufo moscato (15 novembre - 15 marzo)
Tuber aestivum detto tartufo nero estivo o scorzone (1 maggio - 30 novembre)
Tuber aestivum uncinatum detto tartufo uncinato (1 ottobre - 31 dicembre);
Tuber mesentericum detto tartufo nero ordinario (1 settembre - 31 gennaio)
Tuber macrosporum detto tartufo nero liscio (1 settembre - 31 dicembre).
La stessa legge stabilisce alcuni principi riguardo la raccolta, che è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, mentre e riservata al conduttore del fondo nel caso di tartufaie coltivate (impiantate ex novo) o controllate (naturali migliorate con la messa a dimora di piante micorrizate).
Altre indicazioni riguardano la ricerca dei tartufi, che deve essere effettuata con l'ausilio di un cane addestrato allo scopo (solitamente cani da fiuto a pelo ruvido, tra cui il Lagotto romagnolo, unica razza da tartufo riconosciuta dall'Ente Nazionale Cinofilia Italiana), e lo scavo, effettuato con apposito attrezzo (vanghetto), con limitazione al punto individuato dal cane. Al superamento di un esame di idoneita dipende infine il riascio di un tesserino valido su tutto il territono nazionale.