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Nespoli, cotogni, cachi...

Venendo a piante più continentali, merita menzione il nespolo (Mespilus germanica, 'nespolaro') piccolo albero della famiglia delle Rosacee, dai frutti autunnali, globosi e color ruggine, con apice cavo nel quale è visibile il seme, circondato da lunghi sepali persistenti.
È una specie originaria dell'Europa sud-orientale, diffusasi poi in tutto il continente e coltivata per i frutti di facile conservazione fino a inverno inoltrato.
Nei nostri climi, infatti, le nespole diventano mangiabili solo dopo che il gelo le ha toccate disgregando la polpa che poi 'ammezzisce' diventando molle e di sapore dolciastro.
Da ciò deriva la consuetudine di coglierle ancora dure per farle maturare lentamente sulla paglia; una volta pronte, si consumano così come sono, con un buon bicchiere di rosso, oppure si possono usare per fare gelatine e marmellate.

La sua coltura è praticamente scomparsa, tanto che i più lo confondono con il nespolo del Giappone, i cui frutti hanno colore arancione e maturano nella tarda primavera.
Affine al nespolo è il cotogno (Cydonia oblonga,'codognaro'), albero di piccola taglia, inconfondibile quando a fine estate si carica dei frutti giallo pallidi, di forma irregolare, a metà tra mela e pera.
La specie è originaria del Mediò Oriente e fu molto coltivata dai Romani, che la diffusero in Europa.
Il frutto, intensamente profumato, appena colto è duro e di gusto non proprio gradevole, ma quando è cotto la polpa assume un colore rosa e un sapore delicato.

Un tempo i cotogni venivano passati al forno o messi sul fuoco con mosto d'uva; i vignaioli invece li bollivano con le vinacce per preparare una lavanda con cui aromatizzare le botti.
Un uso tutto vicentino del cotogno è quello della mostarda, una marmellata senapata che ben poco ha che fare con l'omonimo prodotto di Cremona, fatto con frutta mista candita ma che altrettanto bene si presta ad accompagnare bolliti e arrosti.
Il più diffuso utilizzo del cotogno resta comunque la preparazione della cotognata, marmellata o gelatina, che un tempo si trovava anche confezionata in cartoccetti ed era una merenda sempre gradita ai bambini.
Un simpatico uso dei frutti era infine quello di profumare la biancheria nei cassetti o i locali di soggiorno.
La citazione finale è per il cachi (Diospyros kahí, 'cacaro'), l'ultimo in di apparizione tra le piante da frutta di provenienza esotica.

La pianta, infatti, ha origine giapponese e, se bene importato in Europa sul finire del '700, ha trovato diffusione e interesse alimentare solo nel secondo dopoguerra.
È una bella pianta, un vero e proprio albero, decorativa tanto per il fogliame lucido quanto per i frutti arancioni che danno una nota di colore ai campi quando il freddo ha spogliato tutti i rami.
I frutti, è ben noto, se sono acerbi legano in bocca; maturi, invece, sono dolcissimi e tanto morbidi da richiedere il cucchiaio, sostanziale mente si consumano freschi ma hanno buona riuscita anche per dessert e marmellate.
Il cachi non è propriamente un frutto desueto, tant'è che in certe zone Italia conta impianti specializzati, merita comunque di entrare nel novero delle specie da incrementare, soprattutto in collina, per la sua rusticità e la sua doppia valenza alimentare e ambientale.



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