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Teatro Olimpico Vicenza

Monumento inserito nella World Heritage List dell'UNESCO


Orari Dal 10 settembre 2013 il Teatro Olimpico osserverà il seguente orario: da martedì a domenica 9.00 – 17.00 (ultimo ingresso 16.30) Il Teatro Olimpico è chiuso tutti i lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio.

Il Teatro Olimpico di Vicenza è l'ultima fabbrica progettata da Andrea Palladio, solo parzialmente da lui diretta. Il cantiere dell'Olimpico si aprì, infatti, il 28 febbraio 1580 e il 19 agosto di quell'anno Palladio morì, settantaduenne, quando si stava ancora lavorando ai muri perimetrali del Teatro.

La direzione dei lavori passò in un primo momento a un figlio dell'architetto, Silla Palladio, che possedeva il disegno paterno con il progetto dell'edificio, ma a lui subentrò presto Vincenzo Scamozzi, che inventò le prospettive e dilatò la fabbrica originaria con la costruzione delle tre sale chiamate, nel loro complesso, Odeo Olimpico.

A volere la costruzione del Teatro Olimpico fu l'Accademia degli Olimpici, che era stata fondata a Vicenza nel 1555 da ventuno soci, tra i quali Andrea Palladio e i pittori Giovanni Antonio Fasolo e Giovanni Battista Maganza. L'Accademia Olimpica si proponeva di coltivare gli studi umanistici e le discipline matematiche e musicali e di allestire in Vicenza spettacoli drammatici; è noto, infatti, quanto il teatro rispondesse a un'esigenza sempre più avvertita dagli intellettuali del Cinquecento.

A Vicenza si erano tenute alcune rappresentazioni teatrali, di cui si hanno notizie vaghe; nel febbraio 1539, ad esempio, nel cortile di palazzo Porto-Colleoni di contra' Porti fu allestita una commedia che si valse dell'opera tecnica di Sebastiano Serlio, il quale aveva eretto per l'occasione un teatro provvisorio in legno. Nel 1561 troviamo lo stesso Palladio impegnato nella costruzione di un teatro mobile in legno nel salone della Basilica vicentina dovendosi rappresentare l'Amor costante di Alessandro Piccolomini; l'apparato palladiano piacque tanto che esso venne reimpiegato l'anno seguente per la recita della Sofonisba di Gian Giorgio Trissino. Di queste rappresentazioni ci sono pervenute due immagini, fissate in due affreschi monocromi della sala d'ingresso dell'Odeo Olimpico (l'Antiodeo), eseguiti nel 1596 da ignoto pittore. Sono documenti molto importanti, in quanto consentono di leggere già formata l'idea che Palladio espresse più tardi nella fabbrica dell'Olimpico. D'altra parte sappiamo che Palladio si occupò a lungo, tra il 1540 e il 1556, della forma del "teatro degli antichi" collaborando all'illustrazione del trattato vitruviano De Architectura tradotto da Daniele Barbaro: Palladio aveva investigato personalmente le rovine dei Teatri romani di Vicenza, di Verona, di Pola, di Orange, di Marcello a Roma e nel 1561 doveva avere ormai maturato le proprie intuizioni.

Nel 1565 Palladio fu chiamato a Venezia per realizzare un teatro per la Compagnia della Calza nel Convento della Carità, che andò distrutto subito dopo e che Vasari ricorda come "mezzo teatro di legname ad uso di colosseo".

Il progetto di costruire in Vicenza un teatro stabile cominciò a prendere vigore nel 1579, auspice forse lo stesso Palladio rientrato in città da Venezia. Il luogo su cui edificare il teatro fu individuato in una parte dei fabbricati delle vecchie prigioni all'interno del Castello dell'Isola, che era proprietà del Comune. La supplica avanzata dagli Accademici per la concessione del luogo trovò accoglienza, anche perché‚ il complesso era allora in stato di abbandono e inutilizzato; e Palladio poté così aprire il cantiere, anche se il luogo non era dei più belli che Vicenza potesse offrire.

Per il Carnevale del 1585 il Teatro Olimpico era pronto ad accogliere il pubblico. In Accademia si discusse a lungo sulla scelta della rappresentazione inaugurale; ma, dopo varie ipotesi, prevalse quella più consona al gusto del tempo, cioè una tragedia antica volgarizzata: l'Edipo re di Sofocle nella versione italiana di Orsatto Giustiniani intitolata Edipo tiranno. La sera del 3 marzo 1585 il Teatro Olimpico fu inaugurato alla grande con sfarzo di costumi, disegnati da Giovanni Battista Maganza, e grande numero di comparse - almeno ottanta -, oltre al nove attori recitanti; e poi le musiche, curate da Andrea Gabrieli.

Contrariamente a quanto sarebbe legittimo attendersi, l'Olimpico, dopo la splendida inaugurazione, entrò in un lungo letargo, dal quale si risvegliò solo occasionalmente. Solo nel 1935 , infatti, quando all'Accademia Olimpica si affiancò il Comune di Vicenza nella costituzione di un comitato permanente ebbero inizio spettacoli con carattere di continuità in questo famoso teatro rinascimentale.

Ma, al di là del valore degli spettacoli di cui il Teatro Olimpico è ormai sede permanente, rimane l'importanza artistica del monumento, che merita una visita. Cominciamo dall'Odeo Olimpico, ossia dalle tre sale progettate dallo Scamozzi, essenziali all'attività del Teatro stesso: la prima sala, detta Antiodeo, rappresenta il primitivo ingresso al Teatro, ora trasferito per comodità nel corridoio sotto la cavea; la seconda sala, detta Odeo - dove si tengono ancora le "tornate" ufficiali dell'Accademia Olimpica - immette nella versura sinistra del proscenio del Teatro; la terza sala, adibita a ripostiglio, è oggi smembrata e ridotta ad una sequenza di camerini. L'ingresso, in origine, avveniva dall'alto della loggia di sinistra, cioè dal punto in cui più ampia e magnifica è la visuale su tutto il Teatro. Il proscenio è articolato in tre registri: quello inferiore si apre nell'arco trionfale centrale (porta regia) e in due aperture più piccole laterali (hospitalia); il secondo registro presenta nicchie con statue di Accademici - che compaiono pure nel loggiato e nel registro inferiore del proscenio -, mentre il terzo registro presenta una serie di metope ad altorilievo con alcune imprese di Ercole. Al centro, sopra l'arco trionfale, 1"'impresa" dell'Accademia, che rappresenta un circo antico accompagnato dal motto "hoc opus hic labor est", ricordo dei "Giochi Olimpici" svoltisi in Vicenza nel maggio del 1558, auspice anche il Palladio, dei quali sopravvive, unica testimonianza, un frammento di busto di Ercole conservato in un angolo dell'Odeo.

Sotto l'impresa accademica sporge lo stemma della Città di Vicenza, che gli Accademici si impegnarono a inserire nella decorazione del Teatro dopo la concessione, da parte del Comune, di un secondo lotto di edifici disabitati, dai quali furono ricavati i locali dell'Odeo. Infine la tabella epigrafica che ricorda l'erezione del Teatro. Con mirabile raccordo tra i vari registri il frontescena piega nelle versure laterali. La cavea del Teatro ha forma semiellittica; le due aperture odierne, che servono da ingressi, non sono originali. La cavea è formata da tredici gradoni, che, dalla base delle colonne del proscenio, portano alla loggia che corre all'altezza della cornice del secondo registro del frontescena. Le gradinate odierne, così come le due scale, non sono più quelle originali, di cui conservano peraltro la copertura in assi-legno: esse furono rifatte in cemento armato, per ragioni di sicurezza, nel secondo dopoguerra. La loggia è sapientemente graduata tra ombre di nicchi e fusti di colonne: per sfruttare l'infelice spazio tra l'ultimo gradone della cavea e il muro perimetrale Palladio alternò pareti piene, alle estremità e al centro scavate da nicchie rettangolari o centinate, cioè nei punti in cui il muro perimetrale più si avvicina alla loggia, e pareti vuote, scandite dalla teoria delle colonne nei punti in cui il muro perimetrale si allontana.

Quanto ai soffitti, solo quello del proscenio è stato rifatto in conformità al modello originale, leggibile in una stampa degli inizi del Seicento. È probabile che il cielo sopra le prospettive esistesse anche in origine: un velarlo doveva coprire questa zona. Il problema dei soffitti diede origine ad una vasta polemica, forse non ancora spenta a Vicenza, tra i sostenitori di diverse tesi.



Ritorniamo per un istante alle prospettive, che rappresentano senza dubbio l'attrattiva maggiore per l'occhio del visitatore: ne fu autore - come si è già detto - Vincenzo Scamozzi; il quale, partendo dalla rappresentazione di una Tebe nella quale si ambienta l'Edipo re sofocleo, arrivò invece, alla creazione di una sorta di città ideale, solenne e nobile nelle architetture e nelle partiture decorative, animata da edifici di gusto palladiano.