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La grappa vicentina

La storia della grappa vicentina, ha praticamente inizio nel 1779, a Bassano, quando i Nardini, una famiglia della trentina Val di Cembra, acquista l'Osteria del Ponte, la stessa che visitiamo oggi, e vi installa i propri alambicchi costituendo quella che è la distilleria più antica ancor oggi operante in Italia.

Si dice grappa e si pensa a Bassano e al celebre ponte degli Alpini.

In questa associazione è la realtà della grappa vicentina, che non vanta peculiarità organolettiche - se ne produce in tutta Italia, dalla Val d'Aosta alla Sicilia - ma piuttosto un patrimonio di storia e capacità artigianale che non ha uguali. A fronte di tante denominazioni regionali, "grappa" il Termine usato, anche per recente legge comunitaria, per definire l'acquavite di vinaccia prodotta esclusivamente in Italia. Il nome deriva da 'graspo', termine con cui nelle regioni del nord si indicava il grappolo d'uva (e 'graspe' era quanto restava dell'uva dopo la spremitura).

Progenitrice del distillato è la 'graspia', o 'vin piccolo', acidulo e di bassa gradazione, che un tempo si traeva subito dopo la vendemmia dalle vinacce per aggiunta di acqua. Da questa rudimentale pratica alla distillazione delle componenti alcolica e aromatica è solo questione di tecnologia.

La grappa, dunque, è figlia della vigna e forse antica quanto essa. Di alambicchi si ha già traccia tra i popoli della Mesopotamia e per certo Egizi e Greci distillavano essenze a fini farmaceutici e cosmetici. Le conoscenze dei Romani, grandi vignaioli, passarono poi ai monaci e agli alchimisti medievali, che furono i precursori del grappaioli dell'età moderna.

In Italia la prima citazione dell'acquavite - 'acqua di vita' per via dell'impiego terapeutico - si ha dai codici della Scuola Salernitana, ma è a Venezia, nel 1601, che nasce la Congrega dell'Università degli Acquavitai.

Chiunque facesse vino, comunque, faceva anche grappa perché in campagna non si sprecava nulla e dalle vinacce si otteneva un ben di Dio che non era solo bevanda cordiale ma anche medicamento, abbinato alle erbe officinali, per vario genere di malanni.

La storia della grappa vicentina, a prescindere dalle farmacie dei monasteri, ha praticamente inizio nel 1779, a Bassano, quando i Nardini, una famiglia della trentina Val di Cembra, acquista l'Osteria del Ponte, la stessa che visitiamo oggi, e vi installa i propri alambicchi costituendo quella che è la distilleria più antica ancor oggi operante in Italia.

L'800 è la grande stagione della grappa vicentina, nonostante la fillossera, che quasi annientò la vite, e le vessazioni fiscali prima dei Francesi e poi degli Austriaci, che tassavano pesantemente un genere di largo consumo, ancora importante in farmacia (e le cose non sono cambiate, visto che oggi gli oneri ammontano al tripIo del valore intrinseco del prodotto).

Sostenute dall'invenzione di nuove macchine, nascevano numerose distillerie. Ancora in attività sono: la Brunello, fondata a Montegalda nel 1840; la Boschiero (1850), oggi a Thiene; la Dalla Vecchia, di Malo (1870); la Chiarello, di Sarego (1870); la Schiavo, di Costabissara (1887); la Zanin, di Zugliano (1895); la Poli, di Schiavon (1898), senza contare la; miriade di osterie distillatrici e gli artigiani e vaganti sulle montagne. Altre, nate nello stesso periodo, come la Rossi di Asiago (1850) e la Pio Battistello di Breganze (1890), sussistono ancora come marchio commerciale. A Vicenza spetta anche il merito di aver stilato l'atto di nascita della parola grappa nell'accezione oggi utilizzata: è infatti Luigi Pajello, nel suo dizionario Vicentino-ltalico del 1896, il primo ad aver dato al termine grappa il significato di distillato alcolico.

Il '900 porta due guerre, che fanno chiudere tante distillerle, ma anche un evento che in qualche modo ha influenzato il mondo della grappa vicentina: nel 1928, a memoria del sacrificio degli alpini nella Grande Guerra, Bassano diventa Bassano del Grappa, anche se il celebre monte non ha nulla a che vedere con il distillato (la voce deriva dal termine prelatino 'krapp', cioè roccia), il nuovo nome non fa che rafforzare l'immagine della cittadina quale capitale della grappa.

Nascono altre distillerie: nel 1930 la Dal Toso, oggi a Ponte di Barbarano; dal secondo dopoguerra a oggi la Li.di.a di Villaga, la Monte Grappa di Romano d'Ezzelino e la Cavazza di Alonte.

Negli anni Sessanta, con il boom economico e il 'benessere', si consuma l'ultimo atto della vicenda della grappa, promossa da distillato povero ad alta gradazione alcolica a bevanda di rango, adatta a tutti i palati. I produttori comprendono di dover reagire all'avanzata dei superalcolici stranieri, a partire dal whisky, che porta con sé il messaggio di uno stile di vita 'moderno', lontano anni luce dai valori della campagna. Nasce così la 'grappa cittadina', ingentilita nel gusto e curata nell'immagine fino ad arrivare alle bottiglie di vetro soffiato; è la grappa che ha conquistato le tavole dei ristoranti ed è entrata in tanti 'salotti buoni'.

Riflesso di questo nuovo costume è la rinascita, o meglio il rientro dalla clandestinità cui erano costrette dal carico fiscale, delle grappe di fattoria: i vignaioli, salvo rare eccezioni, non utilizzano più l'alambicco aziendale (tenuto a lungo lontano da occhi indiscreti), ma consegnano le vinacce ai professionisti della distillazione: ne nascono grappe della tale vinaccia e perfino del tale vigneto, vendute a prezzo adeguato agli appassionati dei prodotti più esclusivi.

Prezioso stimolo alla formazione del 'mastro distillatore' moderno è venuto negli anni dall'Anag "Assaggiatori Grappe ed Acquaviti", che ha avuto tra i suoi promotori in Veneto i vicentini Pietro Retis, sommellier e assaggiatore, e Paolo Brunello, distillatore e primo organizzatore in assoluto di un corso di dequstazione professionale.

Altra valida iniziativa vicentina è stata quella della prima Strada della Grappa, studiata da Pierluigi Lovo e Maurizio Onorato per attraversare la provincia, da Bassano a Sarcedo di distilleria in distilleria. Quello che resta da fare, nel Vicentino e altrove, è approfondire il solco della tipicità valorizzando i vitigni locali e nel contempo lavorare sulla promozione del prodotto attraverso la ristorazione, sia convenzionale che agrituristica, e il promettente turismo enogastronomico.

Questo in attesa che si giunga anche per la grappa alla Doc, cioè a una certificazione di qualità che renda obbligatoria la menzione in etichetta non solo del distillatore e dell'imbottigliatore ma anche dell'azienda vinicola e del vitigno d'origine.