Cerca nel sito

Invia ad un amico
Livello del fiume Bacchiglione
e previsioni meteo di Vicenza

23-24 Maggio - Battaglia notturna
Il secondo assalto respinto

Nel tardo pomeriggio del 23 ecco provenire da Verona l'avanguardia del Corpo d'Armata austriaco (16.000 uomini con una cinquantina di pezzi di artiglieria) al comando del gen. Principe di Schwarzemberg. Il Radetzkv aveva fermato a Sambonifacio reparti reduci dall'insuccesso del 20-21, e li rimandava a Vicenza, con un robusto rinforzo di fanteria e di artiglieria, con l'ordine rigoroso di abbattere ad ogni modo le difese, di smantellare ogni riparo e di mettere la città a ferro e fuoco.

Il gen. Durando, che intanto aveva assunto il comando delle operazioni in Vicenza, disponeva per il rafforzamento della difesa di Borgo S. Felice e dell'area antistante la Rocchetta fino, il Borgo di porta S. Croce, mentre porta Nuova veniva murata. Era posta in stato d'allarme, come riserva, la Guardia Civica cittadina, e mobilitati i Vigili del Fuoco.

La prima struttura difensivi a, la "Loggetta" di S. Felice, trasformata in un fortino, viene assalita da reparti croati, che, gridando a tradimento "Viva Italiana!", tentano di penetrare nel ridotto. Sono le 11 di sera, e mentre l'allarme, rapidamente, si propaga a tutta la zona, l'attacco dopo accanito scontro travolge i difensori, favorito da qualche cannonata che colpisce il piccolo fortilizio.

I difensori, minacciati di aggiramento, sono costretti a ripiegare sulle barricate di Porta Castello. A mezzanotte esplode l'assalto generale, e mentre sulla zona si scarica un temporale di particolare violenza le tenebre notturne sono solcate da razzi e racchette luminose che il nemico lancia sulle difese e sulla città, avendo ormai portate intorno a San Felice e lungo i borghi le sue artiglierie.

Ma dalla collina detta "dei sette venti", a Monte Berico, dove il Durando aveva fatto collocare alcuni pezzi di artiglieria, per sfruttare la posizione dominante sulla città, i pezzi diretti dal col. Zanellato e dal sottoten. Francesco Molon prendono sotto tiro le batterie austriache, riuscendo a smantellarne alcune e a costringere le altre ad allontanarsi. Gli attacchi allora si allargano, e si tenta la scalata ai Berici, ma senza esito, perché l'ampia zona da S. Agostino a S. Felice è stata allagata, facendo tracimare il Retrone. Più positivo per gli austriaci l'attacco verso le mura, e un reparto penetra nel campo Marzo: ma viene subito ricacciato da Svizzeri e Carabinieri. Prosegue il tentativo lungo le mura più a nord, colpendo con bombe e razzi la "Polveriera", sistemata all'interno della Rocchetta. E mentre i cittadini (soprattutto vecchi e ragazzi) accorrono a sgomberare i 250 barili di polvere da sparo ivi contenuti, che con ogni mezzo (carri, carriole ... ) vengono posti al riparo in locali protetti del centro cittadino, reparti di Svizzeri escono da porta S. Croce per un fortunato contrattacco in "Campo di gallo", e alcuni colpi di artiglieria demoliscono le Postazioni, avversarie di Villa Bertolini (attuale Istituto Saveriano di Viale Trento). Durante questa azione, alcune compagnie del Battaglione "Galateo" condotte dal giovane ten. Ottavio Framarin, con una felice sortita travolgono il nemico alle Cattane e lo inseguono fino al Biron.

I cittadini, intanto, coloro che per età, sesso, compiti particolari non prendono parte diretta agli scontri, sono in fermento e in vibrante attesa. Dall'alto dei Berici - narra un cronista di quei fatti - si assiste ad uno spettacolo straordinario: la città, all'interno delle mura, fin dal primo colpo di cannone appare tutta illuminata, accesi lampioni e torce lungo le vie, spalancate le finestre con lucerne in bella evidenza, movimento di persone e di carri lungo le strade. Chi può è ai posti di raduno, per recare soccorso ai feriti e aiuto ai combattenti (molte donne ricaricano i fucili (ad avancarica) per affrettare le operazioni di sparo), e portano armi, munizioni ed altro. E intanto da tutti i campanili si diffonde il suono a stormo che indica pericolo, mobilitazione, ma anche sfida e minaccia agli aggressori, confondendosi col rimbombo delle cannonate, lo scoppio delle granate e i colpi secchi e ininterrotti delle fucilate.

Verso le otto del mattino le forze attaccanti mostrano qualche segno di cedimento, abbandonando gli edifici e le posizioni occupate, non senza avervi prima appiccato il fuoco (e in qualche caso gettando nel rogo i corpi del loro caduti: sembra trattarsi di reparti croati).

Certo, è questo, per la città, l'attacco più devastante che, oltre a colpire con cannonate ininterrotte il centro abitato, lascia nelle zone a nord e specialmente ad ovest del suburbio un paesaggio di devastazione e di morte, che si estende, a molti rustici disseminati nel contado: ma non meno rovinosa per gli attaccanti la reazione della difesa vicentina, che utilizza al massimo la propria, pur scarsa, dotazione di artiglieria, e manovra con spostamenti tempestivi e indovinati le truppe di riserva, bloccando ogni pericolo di infiltrazione e respingendo lontano dalle mura in più punti, gli aggressori con efficaci sortite.

Verso le 12 di quel 24 maggio, dopo qualche altro tentativo, le forze imperiali si ritirano verso Verona, non senza far qualche sosta per dare sepoltura ad alcuni ufficiali caduti, mentre molti feriti muoiono lungo il cammino. I dati relativi alle perdite (morti e feriti) sono incerti: i soliti cronisti parlano di oltre duemila fra gli attaccanti e di più di un centinaio fra i difensori.
Si trattava, certo, di un successo importante che però creava qualche illusione sulla possibilità di una vittoria finale: lo stesso gen. Durando in un ordine del giorno ai suoi soldati dichiarava:
"Per cagion vostra, soldati, d'ora innanzi si dirà: Vicenza si può difendere"

Ad accentuare poi l'ottimismo e a sostenere le speranze, pochi giorni dopo giungeva la notizia della vittoria piemontese a Goito e della presa di Peschiera. Ciononostante, i responsabili della difesa, e primo di tutti il gen. Durando, si rendevano conto dell'inevitabilità del ritorno del nemico, impegnato a rioccupare ad ogni costo Vicenza. D'altra parte era evidente che il secondo insuccesso consecutivo dell'attacco austriaco era dovuto principalmente al mancato controllo dei Berici, rimasti in mano al difensori, e resi inaccessibili dalla parte della città con il tempestivo allagamento del terreni circostanti.

Fra la fine di Maggio e i primi di Giugno si provvide dunque a rinforzare ed ampliare le difese artificiali e naturali, e maggior attenzione venne rivolta alle alture del Berici, specialmente alle spalle del Santuario della Madonna., cioè a quel settore dove i monti vengono restringendosi, dal nodo viario di Villa S. Margherita (Castel Rambaldo) al Monte Bellaguardia e al rilievo di Ambellicopoli (ora Villa Guiccioli), dal quale il monte discende più ripido verso il Santuario e verso la città. Inizialmente si proponeva di rinforzare con un avamposto Castel Rambaldo ma , considerata l'esiguità delle forze disponibili, si rinunciò.

Sul Monte Bellaguardia, da cui è possibile controllare le vie circostanti, fu eretta una struttura protettiva, con travi e altro materiale. Sul colle di Ambellicopoli, a cui si accede dall'unica via che scende verso la città, e che sale in direzione est alle spalle della villa, venne aperto un vasto trinceramento che dal punto più elevato scendeva alla strada, ricavando anche qualche piazzola per la collocazione di cannoni. La zona del Berici, fino alla discesa del portici, venne affidata al controllo e alle direttive operative del col. Massimo D'Azeglio, coadiuvato dal ten. col. Enrico Cialdini. Le forze alle loro dipendenze erano costituite da 2 Battaglioni Svizzeri, la Iegione Gallieno (volontari romani) in due Battaglioni (Picchi e Gentiloni), una compagnia "bersaglieri" di Ferrara (Mosti) e una compagnia volontari alto vicentino (Fusinato); questi reparti erano appoggiati da 6 cannoni di vario tipo: la maggior parte erano sistemati nel trincerone di Ambellicopoli e adiacenze, mentre due cannoni e alcuni reparti di volontari sbarravano la strada e scendevano fino a Villa Nievo.

All'inizio dell'attacco il castelletto in legno eretto sul Bellaguardia venne fatto abbandonare dal Durando e i difensori retrocessi, per l'isolamento a cui era esposta la posizione facilmente soggetta ad accerchiamento (come infatti poi avvenne). Altra difesa era sul colle "dei sette venti", dimostratasi poi inutile. Intorno alla cerchia murata cittadina, per la quale ora diminuiva la disponibilità di truppa e di artiglieria, il Durando ricalcò in buona parte i criteri adottati per la difesa del 23/24 Maggio: nel settori più vulnerabili erano schierati reparti di regolari, come gli Svizzeri e reparti dell'esercito pontificio, alternando contingenti di volontari e di guardie civiche; l'artiglieria fu collocata in corrispondenza delle porte e fu rafforzata la zona al piedi del M. Berico, con una batteria presso la Villa Della Tavola (ora Rossi di Schio, lato est delle scalette di porta Monte), che batteva d'infilata il borgo Berga e oltre, e un pezzo in ferro (o acciaio) presso Villa Carcano (ora Brusarosco) sopra il tunnel ferroviario, che operava su Campo. Marzo e zona di S. Felice.

Questo settore, fino alla Rotonda, da un lato, e fino a Borgo Casale, porta Padova e Borgo Padova, dall'altro, era difeso da: Battaglione Universitario, Battaglione di Faenza (Pasi), Guardia Civica Vicentina, Cacciatori pontifici, Legione Romana (Del Grande) e compagnie fanteria Svizzera; il settore era affidato al controllo del col. Alessandro di Casanova, Capo di S.M. del gen. Durando, con la collaborazione del col. Giacomo Zanellato per il tratto porta Monte - Villa Rotonda. Il terzo settore, il più esteso, da Borgo Scroffa a porta S. Lucia, porta S. Bortolo, porta S. Croce, Rocchetta e porta Castello, con i borghi corrispondenti, era tenuto da reparti di Fanteria Svizzera, di volontari Bassanesi, da un Battg. del Basso Reno (Rossi), da più Battg. di truppe pontificie, fucilieri e cacciatori regolari (Bini) e da una compagnia Guardia di Finanza.
Questo settore era sotto il controllo del col. Domenico Belluzzi, comandante della Piazza militare di Vicenza. Al col. De Latour, comandante della Brigata Svizzera venne affidata la sorveglianza delle pendici di M. Berico, punto nevralgico di collegamento del monte con la città. Al capitano Lentulus, comandante delle artiglierie svizzere, stretto collaboratore del Durando e valente operatore nell'impiego del pezzi a lui affidati, fu dato il controllo delle artiglierie di tutto lo schieramento, con particolare attenzione ai cannoni posti sui Monti Berici.
INDICE:
Cronache
Federazione di Vicenza
Un po' di storia - Lo scontro di Sorio
20-21 Maggio - Primo assalto
23-24 Maggio - Battaglia notturna
L'assalto definitivo alla città: il 10 Giugno
Difficili trattative
Considerazioni conclusive
Storie e memorie di una città