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Difficili trattative
e convenzione finale fra i due eserciti

Alle ore 6 della sera, di fronte all'imperversare spietato degli oltre 60 pezzi di artiglieria che sparano dai monti, oltre al 50 cannoni piazzati intorno alla città, mancando ogni prospettiva di rinforzi esterni, il gen. Durando, riunito a Palazzo Nievo (oggi sede della Prefettura) il Consiglio di guerra ad evitare le conseguenze per i cittadini se la città fosse stata presa d'assalto, decideva per una onorevole capitolazione e tentava di avviare trattative col nemico. Così la bandiera rossa di combattimento esposta sulla torre di Piazza venne sostituita con la bandiera bianca. Fu violenta, a quella vista, la reazione dei cittadini: e mentre il Comitato protestava di preferire la morte sotto le rovine della città piuttosto di un cedimento disonorevole per ritornare sotto il dominio imperiale, il popolo, avvisato della situazione, accorreva nella Piazza e, incitato dall'indomito Luigi Parisotto, rappresentante del ceto popolare, prendeva a fucilate la bandiera della capitolazione, tanto che si dovette ritirarla.

Ma ormai le trattative per iniziare un tentativo di accordo erano l'unica soluzione accettabile, e il Durando ne avvertiva la città con questo manifesto:

Vicentini!

La capitolazione è divenuta inevitabile,
l'onore lo permette, la umanità lo domanda,
la sorte della Città sarà tutelata.
lo non potrei consigliarvi
cosa che fosse contro la patria,
alla quale abbiamo pagato
il debito.

Vicenza 10 giugno 1848 - alle ore 7 di sera

Il generale
DURANDO

Deposto una seconda volta il vessillo rosso, riappare la bandiera bianca, mentre si cerca di prendere contatto con il comando austriaco. Dapprima l'incarico viene affidato al col. Casanova, che da Porta Monte esce col Magg. Balletta per recarsi al comando del 1 C. d'Armata (gen. Wratislaw): ma il tentativo non ha fortuna, anche perché gli scontri non sono cessati del tutto, essendo riapparsa la bandiera rossa. Si rinnova quindi l'iniziativa, e l'incarico viene dato al col. Eugenio Alberi, che accortamente si fa accompagnare dal principe Bartolomeo Ruspoli, milite romano di nobile casato, noto anche presso la nobiltà austriaca, i due, usciti un po' avventurosamente fra le barricate di porta Padova, si portano a Villa Balbi-Muttoni (la Caimpenta), dove ha sede il Comando del 2 C. d'Armata. Il primo incontro è col comandante gen. D'Aspre, personaggio ruvido ma schietto; ripresi i contatti con i rispettivi Comandi, si ha poi un secondo incontro, col gen. Hess, rappresentante di Radetzky. È già trascorsa la mezzanotte.

Le lunghe trattative, vivaci e laboriose, si concludono con un accordo, definito "Convenzione" (e non capitolazione). Alla fine viene stabilito:

  • 1) L'uscita indenne di tutti i combattenti (regolari e volontari dello Stato pontificio), con obbligo di proseguire per Este e poi varcare il Po, cioè portarsi nel territorio dello Stato della Chiesa (a questi reparti si aggiunsero poi, di fatto, per interessamento del col. Belluzzi, i soldati volontari di Vicenza e del Veneto, che poterono uscire, portando anche qualche pezzo di artiglieria, senza incontrare difficoltà);
  • 2) L'impegno ad astenersi da atti di guerra per tre mesi;
  • 3) L'assicurazione da parte austriaca di un trattamento "benevolo" verso gli abitanti della città e della provincia di Vicenza compromessi per azioni belliche.
Come si vede, era esclusa la condizione, prima prevista, di "prigionieri di guerra". Le trattative cosi superarono nella forma migliore il problema nato dal fatto che dalla fine di Maggio il governo di Pio IX aveva cessato lo stato di belligeranza con l'Impero, rischiando che la forza militare in Vicenza venisse trattata come milizia fuori legge. L'accordo raggiunto evitò quindi complicazioni diplomatiche fra l'Austria e la S. Sede.
In conseguenza della Convenzione, l'11 giugno, in giorno di Domenica, da porta Monte alle ore 11 uscivano, con gli onori delle armi i combattenti, compresi molti feriti, riuniti nei loro reparti, decimati ma ordinati, con in testa la fanfara, seguita dalle bandiere delle varie formazioni. Seguivano poi i vicentini. Davanti a tutti sfilavano i coraggiosi membri del Comitato: il Presidente Giampaolo Bonollo, don Giuseppe Fogazzaro, il co. Luigi Loschi, don Giovanni Rossi, Giovanni Tognato, il notalo Bartolomeo Verona. Altri membri, come Sebastiano Tecchio, non erano a Vicenza. Venivano quindi numerosi cittadini, uomini e anche donne, perfino intere famiglie, a piedi o su carri e carrozze, ai quali era preferibile l'esilio ad un ritorno sotto il potere austriaco. E poi carri e altri mezzi, che trasportavano feriti; altri feriti più gravi erano rimasti in città nascosti e ospitati e curati da famiglie vicentine.

Il Feld-Mresciallo Radetzky, dall'alto di una loggia in località del Gallo, osservava con interesse e ammirazione la schiera di quel valorosi che nonostante la grande inferiorità numerica di uomini e di mezzi avevano tenuto testa per 16 ore al duplice assalto di forze tanto superiori, alle quali avevano inflitto nella giornata del 10 giugno gravi perdite: la relazione ufficiale, di parte austriaca, dà 985 uomini posti fuori combattimento (tra cui 304 caduti, compresi 40 ufficiali, 541 feriti, 140 dispersi) mentre per i difensori si tratta di 1958 perdite (293 caduti, 1665 feriti). L'entità esatta delle perdite, delle due parti, non è stata accertata in modo definitivo.
INDICE:
Cronache
Federazione di Vicenza
Un po' di storia - Lo scontro di Sorio
20-21 Maggio - Primo assalto
23-24 Maggio - Battaglia notturna
L'assalto definitivo alla città: il 10 Giugno
Difficili trattative
Considerazioni conclusive
Storie e memorie di una città